La storia del cambiamento la nascita di un nuovo quartiere

Mons. Angelo Cocconcelli
Se la parrocchia di San Pellegrino avesse ancora i confini attribuiti dal decreto di fondazione del Vescovo Antonio Maria d’Este nell’anno 1791, comprenderebbe ora quasi la metà dell’attuale popolazione della città di Reggio; così vasta è stata l’espansione della città in questa zona, che è certamente la più favorita, per la sua ubicazione a monte del centro urbano e aperta verso i colli.
Il territorio, che allora era tutta campagna con alcune borgate sparse, da cui il nome ufficiale di S. Pellegrino né Borghi di Porta Castello non raggiungeva le mille anime; mentre attualmente è tutto urbanizzato ed ha una popolazione che si aggira sui quarantamila abitanti. Si cominciarono così a fare i primi stralci dal comprensorio così esteso della parrocchia di S. Pellegrino:nacquero le parrocchie di : Regina Pacis, Sant’Antonio, Corpus Domini, Sant’Anselmo al Buco del Signore, l’Immacolata, il Preziosissimo Sangue, Gesù Buon Pastore S. Maria del Carmine all’Ospedale S. Maria Nuova.La nascita della nostra comunità fu voluta da Mons. Angelo Cocconcelli, che intorno a quegli anni vide trasformare la parrocchia di S. Pellegrino, che allora era formata quasi esclusivamente da contadini, case rurali e distese di prati, in quartieri nuovi, abitati da gente nuova, proveniente dai più svariati ambienti sociali.Don Angelo sapeva bene che l’uomo non aveva bisogno solo di scuole, luce e di ogni conforto materiale, ma che, avendo un’anima, anch’essa reclamava le proprie esigenze.Fu per questo motivo che fece pressione perché anche nella “Piccola Russia”, al Buco del Signore, sorgesse una nuova chiesa, una nuova parrocchia.
La edificazione della Chiesa
Negli anni ‘60 incominciarono a crescere le piccole industrie intorno alla periferia cittadina e l’esodo verso la città dalle campagne si fece tanto forte che questa dovette espandersi.Cominciarono così a prendere forma i nuovi quartieri tra i quali anche il nostro. Il 10 aprile del 1963 l’allora vescovo di Reggio Emilia, il vicentino Beniamino Socche, emanò il decreto di erezione della Parrocchia del Buco del Signore, la cui chiesa sarebbe stata dedicata a S. Anselmo vescovo di Lucca.Di seguito riportiamo copia del decreto.Nasceva così la nostra comunità parrocchiale.Una piccola comunità di circa duemila anime, con pochi mezzi, senza tanti “benefici”, ma che confidava nell’aiuto del Signore.Correva l’anno 1960: negli USA veniva eletto John Kennedy, primo presidente cattolico, che sarebbe stato assassinato a Dallas il 22 novembre di tre anni dopo, nello stesso anno morivano Fausto Coppi e Mario Riva e, mentre Jury Gagarin era il primo uomo ad uscire dall’atmosfera terrestre e a volare in orbita intorno alla terra, Papa Giovanni XXIII accoglieva l’Arcivescovo della Chiesa anglicana come un fratello separato.A Reggio Emilia l’ultimo Vescovo-principe, il vicentino Baniamino Socche, nel 1963, celebrava il suo 50° anniversario di sacerdozio.
E al “Buco” arrivò un prete don Paolino Merli

Dopo aver costituito la parrocchia del “Buco”, ci voleva un prete, il ministro di Dio, che avrebbe amato la chiesa come sua sposa.Il 22 luglio 1964 il Vescovo Beniamino Socche nominò Economo Spirituale don Paolino Merli.Fu così che don Angelo Cocconcelli lasciò che si staccassero parte del territorio da lui “amministrato” e il suo curato, dopo ben 12 anni di collaborazione.Don Paolino giunse al Buco come Economo Spirituale, perché i lavori della chiesa dovevano essere ultimati, ma per tutta la gente del luogo era il parroco.Il primo prete del Buco si presentò con tanta modestia, come un fratello per i suoi parrocchiani e con quella semplicità e quell’amore che lo accompagnarono in tuo il suo apostolato.Vorremmo riportare le parole che abbiamo trovato nel Bollettino Parrocchiale stampato in occasione della Benedizione della chiesa nuova e datato 13 dicembre 1964.“ … La parrocchia è una grande famiglia in cui ciascuno ha la sua parte di responsabilità. Perché essa possa funzionare bene sono necessari impegno e buona volontà da parte di tutti poiché il lavoro non manca.Il parroco non viene in mezzo a voi per comandare, ma per servire: la sua anima e la sua casa saranno sempre aperte a tutti senza distinzione, perché egli è il pastore di tutte le pecorelle della sua parrocchia. Chiederà a tutti voi il contributo della vostra esperienza per capire meglio i vostri problemi. Cercherà di comprendervi e di amarvi e, spera, di essere compreso ed amato. Non guardatelo con diffidenza, come fosse una bestia strana, ma avvicinatelo.Non dategli una veste politica, no! La sua veste è quella di Cristo, per il quale noi tutti siamo figli di uno stesso Padre.La sua politica sarà quella di suscitare in ciascuno di voi il desiderio del Paradiso e di percorrere insieme la via per raggiungerlo”.Alle ore 10,45 il Vescovo benedisse la Chiesa e alle 11.00 don Paolino Merli vi celebrò la prima Santa Messa solenne cantata. La chiesetta era gremita, si legge sul Bollettino dell’epoca, e la commozione era tanta come tanta era la speranza che accompagnava l’inizio del cammino della nuova comunità.La Chiesa, dono del Cav. Pierino Marazzi, era in stile missionario, semplicissima. Quando fu benedetta mancava di tutto: banchi, battistero, canonica.. Ma la casa di Dio era lì, tra le case del Buco.
Don Paolino Merli: il fondatore della comunità

Don Paolo nella nostra parrocchia era conosciuto da tutti: vicini e lontani. Tutti lo hanno stimato come uomo, rispettato come sacerdote e molti lo hanno seguito quale ministro di Dio.Non tutti però, sanno quali sono state le tappe salienti della sua vita di santo sacerdote,per cui con tenerezza vogliamo ricordarle.Nato in località “la Villa” di Baiso il 24 gennaio 1924, dopo aver frequentato la locale scuola elementare, entrò nel Seminario di Marola per iniziare quel lungo periodo di preparazione dottrinale, teologica e spirituale che lo avrebbe portato a diventare sacerdote del Signore.Don Paolo parlava volentieri degli anni trascorsi in Seminario a Marola e ad Albinea, dove fu anche prefetto per alcuni anni, nonostante agli studi severi, alla disciplina, alla lunga lontananza dalla sua famiglia (solo 20 giorni di vacanze l’anno che don Paolo trascorreva a Baiso tra Chiesa e campi paterni) si unissero il freddo delle camerate e la sobrietà dei cibi, specialmente durante l’ultima guerra mondiale.Il 2 luglio 1950, tra la gioia dei suoi famigliari e in particolare della sua mamma, Sig.ra Cristina, e del papà Sig. Alfonso, venne consacrato “Presbitero” nel duomo di Reggio Emilia da S.E. Beniamino Socche, unitamente ad altri nove confratelli.La sua prima Messa solenne la celebrò una settimana dopo, il 9 luglio nella chiesa nuova di Baiso alla cui costruzione aveva partecipato manualmente, assistito da Mons. Rabotti che tanta parte ebbe nella sua preparazione sacerdotale e dal reverendo don Orlandini.
Nella Parrocchia di S. Stefano
Il suo primo incarico gli fu assegnato, una settimana dopo la 1^ Messa, quale cappellano nella parrocchia di S. Stefano, in città, dove rimase per circa un anno e mezzo dopo di che, alla morte del parroco don Torquato Iori, fu economo spirituale attirandosi subito, per la sua cortesia e affidabilità, la simpatia di tutta la comunità parrocchiale, specialmente dei giovani.
A S. Pellegrino
Fu poi nominato cappellano a S. Pellegrino dove la sua opera fu sempre in perfetta sintonia con quella del parroco col quale collaborò per circa tredici anni, accettando con tanta disponibilità tutti gli incarichi che gli venivano affidati.Erano gli anni in cui don Angelo Cocconcelli era a capo della Pontificia Opera di Assistenza quindi sempre occupato nel gestire colonie, organizzare campeggi, compiere un’opera di assistenza religiosa e morale fra gli operai.Praticamente il lavoro pastorale della parrocchia di S. Pellegrino, come l’assistenza ai ragazzi e agli adolescenti e la visita agli ammalati, ricadeva sulle spalle di don Paolo.Due spalle robuste davvero perché non rifiutò la fatica, non tralasciò mai una iniziativa, ma sempre “sgobbò” con tanta abnegazione e semplicità.Dai giovani veniva chiamato l’uomo d’acciaio per la sua proverbiale forza che dava origine a racconti e leggende.Seppe anche prodigarsi per lunghe ore al confessionale, ogni domenica, così come seppe dare tutto il suo tempo disponibile ai ragazzi e ai giovani che formò alla fede.Don Paolo ricordava spesso e con entusiasmo quegli anni laboriosi e fecondi della sua vita sacerdotale.Tuttavia il suo merito principale consistette nell’aver creato la parrocchia di S. Anselmo, mentre era ancora a S. Pellegrino.
A Sant’ Anselmo

Don Paolo aveva sempre desiderato, fin da quando era stato ordinato sacerdote, andare missionario in Cina, ma il Vescovo per lui aveva altri progetti e gli impedì la partenza anche se il desiderio della missione fino agli ultimi anni di vita fu in lui sempre molto vivo.Anche se non andò in Cina, in terra di missione andò ugualmente perché, quando arrivò al Buco del Signore, la comunità era ancora da creare.Don Paolo prese possesso della nuova parrocchia nella forma a lui più congeniale: silenziosamente.Arrivò il mattino del 25 maggio 1965, accompagnato dalla sua mamma, che rimase con lui fino a quando andò al cielo.Celebrò la Santa Messa, come già faceva da parecchi mesi, poi, invece di tornare a S. Pellegrino, si fermò al Buco del Signore nella sua canonica, nella sua parrocchia, tra la sua gente con la quale doveva condividere gioie e dolori e soprattutto cercare di realizzare il Regno di Dio.C’era tutto da fare!Don Paolo iniziò il suo lavoro con vero spirito missionario. Alternò l’attività pastorale e ministeriale con quella manuale e didattica senza soste, a tempo pieno.In 17 anni di vita parrocchiale vide il numero del suo gregge quadruplicare e, aiutato da tante persone di buona volontà, riuscì a pascere questo gregge così numeroso con vera saggezza pastorale.Fu per merito suo se cominciò il dialogo fra i giovani della parrocchia e i “ragazzi della cellula del Partito Comunista”, che fino ad allora erano stati divisi come da una piccola “Guerra Fredda” casalinga.Svolse una pastorale tutta ministeriale, ospitando in parrocchia, fino agli ultimi giorni, vari seminaristi, indirizzando tanti al ministero dell’Eucaristia e soprattutto formando i suoi due diaconi, le sue due gemme Pierino Panciroli e Gustavo Bicocchi che lo hanno preceduto nel Regno dei Cieli.Quale dolore fu per don Paolo quando perse questi due validissimi collaboratori!Continuò però instancabilmente a pregare ed a offrire le sue ultime sofferenze, perché tra i suoi giovani che tanto amava, tra le sue famiglie, di cui fu sempre vera guida, sorgessero nuove vocazioni sacerdotali, diaconali, missionarie, ministeriali.Nel 1975, per iniziativa del Consiglio Pastorale, celebrò attorniato dalla sua comunità festante, il suo 25° anniversario di sacerdozio che, nella sua umiltà, voleva passasse inosservato.Dopo essersi ancora, per altri sei anni, prodigato per i suoi figli spirituali, si venne a saper nel dicembre 1980 che il Signore aveva preparato per lui una grossa croce.Lui stesso annunciò ai suoi parrocchiani ciò che aveva: un tumore. Chi lo avvicinò da allora fino al 20 agosto non può certo dire che la sua solita serenità e gioia lo avessero abbandonato.Recatosi a Cles per delle cure, il Signore lo ha chiamato improvvisamente. Dopo aver ricevuto l’Unzione degli Infermi, il 20 agosto alle 20,30 circa, rendeva l’anima a Dio.Il sabato 22 agosto, tornato tra la sua gente,Mons. vescovo Gilberto Baroni e altri 100 sacerdoti, insieme ad una folla numerosissima, lo salutavano per l’ultima volta.Alla partenza della salma per la terra natale un lungo applauso testimoniava per l’ultima volta la stima, l’amore, l’affetto che noi, suoi figli spirituali, avevamo per lui.Ci piace ricordare don Paolo con due lettere scritte di suo pugno: una alla mamma Sig. ra Cristina e l’altra alla Comunità del Buco del Signore e con i suoi ultimi appunti Spirituali.
Lettera alla Mamma 27-6-1981

A giugno compirai 85 anni. Non sono pochi a dir il vero; dici, infatti, che ormai incominci ad invecchiare e a perdere qualche colpo. Beata te!Il mio ringraziamento non è solo perché da vari anni mi sei vicina nella mia vita di sacerdote. Quanta pazienza hai dovuto portare con tuo figlio che non rispetta la tua vita privata!Hai sempre sognato una casa tutta tua, linda, ordinata, con pavimenti lucidi da specchiarvisi, e invece hai dovuto subire l’invasione di quanti considerano la canonica non una casa privata, ma un luogo d’incontro con il loro parroco, un luogo aperto a tutte le ore.Il mio ringraziamento principale è per un altro motivo: perché mi hai dato la vita. Viviamo in tempi difficili, tempi in cui è più difficile nascere che morire.Sono stato fortunato d’essere nato così presto! Sesto di otto figli, se dovessi nascere oggi non so se avrei visto la luce di questo mondo.Tu e papà non avete fatto calcoli umani ed economici, anche se allora c’era più miseria di oggi. Non c’erano pannolini per cambiarci, ma pezze di tela lavate alla fontana; non c’erano gli omogeneizzati, ma una pappa fatta con pane genuino e olio d’uliva; non c’era una culla tutta inghirlandata, ma un cestone da campagna.Per te, ogni nascita, non era un trauma psichico, ma una gioia nuova per un volto nuovo che ti sorrideva e si apriva alla vita. Se dovessi nascere oggi, il mio posto rimarrebbe vuoto e nessuno potrebbe prendere il mio posto perché la mia non-nascita avrebbe creato un vuoto eterno nel piano della creazione divina in quanto ogni uomo è sempre irripetibile.Dicono che non vale la pena mettere al mondo della creature in questo brutto e schifoso mondo. Ciò che di poco buono in questo mondo esiste non è in quello che Dio ha creato, ma in quello che l’uomo può fare andando contro l’ordine stabilito da Dio.Grazie mamma! se ho potuto fare un po’ di bene, come uomo e come prete, è perché tu me lo hai permesso dandomi la vita e difendendomela.Per questo po’ di bene mi aspetta, spero, una ricompensa eterna. Grazie, per avermi messo sul cammino dell’eternità. Quanti figli sono orfani prima di nascere, non hanno potuto conoscere il volto dolce e protettivo della loro madre: calcoli egoistici hanno sentenziato: “non c’è posto per loro”, “c’è di troppo”, e l’hanno buttato via come uno straccio inutile, un vestito fuori moda.Ma, siccome quello straccio, quel vestito fuori moda, è un essere eterno, rimarrà per sempre, a dispetto di tutti coloro che gli negano il diritto di essere uomo e un giorno, nella risurrezione finale, saprà chi era suo padre e sua madre. Come sarà il loro incontro?Quando l’hanno buttato vi non ha potuto gridare, come avrebbe voluto: mamma, mi fai male! mamma, perché non mi vuoi? sono tuo figlio! non mi riconosci? Tu e papà mi avete chiamato ed io sono venuto, ma ora mi chiudete la porta in faccia e non mi volete più!Che male ho fatto? C’era al tempo di Gesù un uomo chiamato Pietro; durante il processo a Gesù una donna gli disse. “… sei tu uno dei suoi discepoli?” Quell’uomo cominciò a giurare e spergiurare: “… non conosco quell’uomo, non l’ho mai visto!”. Ma sapendo di mentire, poco dopo esplose in lacrime riconoscendo il suo tradimento.Auguro a tante madri il dono di queste lacrime che sono lacrime liberatrici e di ricostruzione.
I suoi ultimi appunti:il suo testamento spirituale
Marola: 5 nov. 1980 (Esercizi Spirituali)
Signore, so che scegli le cose inadatte perché non ci vantiamo dei nostri successi, ma risalti maggiormente la verità: sei tu che operi e santifichi e che noi siamo sempre servi inutili.Sono trenta anni che sono sacerdote: sono tanti.Sono tanti per cui ti chiedo perdono di essere ancora quello che sono: un povero prete che non ha saputo vivere la propria santità come lo richiedeva il ministero e la Persona che gli avevano affidato.Ti chiedo scusa, Signore, nella mia avarizia: mi avevi chiesto i miei piedi per cercare la pecorella smarrita, le mie mani, per soccorrere chi era caduto per strada; la mia bocca per gridare agli sbandati: “io sono la via, la verità, la vita”.Mi chiedevi ciò che era Tuo, ma quante volte mi sono rifiutato; credevo di essere stanco, ma era solo pigrizia; credevo di aver dato abbastanza ma non quanto mi chiedevi: tutto.
Marola: 5 nov. 1980
Perdonami, Signore, di averti tradito.Il mio tradimento nei tuoi confronti è perdonabile perché Tu sei infinitamente buono e misericordioso.Ma come potrò ottenere il perdono di chi per colpa mia, per mia negligenza, per il mio cattivo esempio si è perduto?A tutti chiedo la carità del perdono per non essere stato per loro un buon pastore secondo lo spirito del Vangelo.
Reggio Emilia: 17 dic. 1980 (Ospedale Santa Maria Nuova)
Oggi mercoledì ore 12,15 mi chiama il primario prof. S. Mosti e mi dà l’esito della broncoscopia: un polmone è affetto da un tumore, occorre un’operazione.Un sudore freddo pervade tutto il mio essere.Cerco di reagire appellandomi alla mia fede che in quel momento trovo debole e fragile, per cui faccio mia la preghiera degli Apostoli: “Signore aumenta la mia poca fede”.Ora Signore aiutami ad accettare, a mia volta, la tua croce con rassegnazione e serenità.Il tempo che mi rimarrà lo conosci colo Tu.Signore ti ringrazio di avermi avvisato per tempo, perché non sprechi ancora quel po’ di tempo che mi concedi.Maria, la nostra buona madre celeste, mi aiuti a fare sempre la tua volontà come lei ha sempre fatto in tutta la sua vita, e nel momento del trapasso sia.
Sempre nel 1980 lui stesso, con una lettera piena di fede e di coraggio, pubblicata sul Bollettino parrocchiale, annunciò ai suoi parrocchiani di essere malato di tumore.Questa lettera rimane una delle pagine di fede più belle della comunità di S. Anselmo.
Un’esperienza che mi mancava …
Una tosse insistente e prolungata, per vari mesi, mi ha accompagnato come una sposa fedele.Doveva essere la solita bronchite cronica di ogni stagione.Mi fu consigliato un breve ricovero per ulteriori accertamenti.Il 9 dicembre entrai in ospedale e fu il primo vero impatto con l’ambiente del dolore.Non c’erano camere per una sola persona, per cui dovetti adattarmi a condividere lo spazio e modo di vivere con gli altri.Se in un primo momento mi trovai un po’ a disagio, successivamente ne fui contento.La mia vita sacerdotale poteva continuare ugualmente anche in quel luogo, anzi poteva essere una buona occasione per una verifica di quanto avevo insegnato e predicato in tanti anni ai miei parrocchiani sul dolore e sulla sofferenza.Era venuto il mio turno.Terminati i vari esami, ecco la doccia fredda: non si tratta di bronchite, anche se ormai superata; c’era la solita sorpresa, ormai comune ai nostri giorni.Tutto questo, detto in faccia, senza tanti peli, non è che faccia tanto piacere, anche se ero un prete, non dovevo avere paura, né del dolore, né della morte.Tutto questo non è vero, perché ci fa paura l’uno e l’altra, essendo “lo spirito pronto, ma la carne debole”.D’altra parte lo stesso Gesù ce ne dà una prova nell’Orto degli Ulivi.Cominciò ad aver paura e a pregare: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice”.In quel momento ho dovuto raccogliere tutte le mie forze interiori, e pregare Dio che aumentasse la mia poca fede, in quel momento, debole e insufficiente.Sì, non mi vergogno a dirlo, la mia fede non era sufficiente, per poter accettare serenamente e senza senso di ribellione quanto Dio mi chiedeva in quel momento.A quanti venivano a trovarmi chiedevo a tutti, anche a chi non sapeva pregare, una preghiera, perché il Signore mi desse una fede più profonda, una fede che mi portasse a dire serenamente e senza turbamenti: “Grazie, Signore, sia la Tua volontà e non la mia!”Ed è stata questa preghiera corale di tutta la comunità parrocchiale, e anche fuori di essa, che mi ha aiutato in modo tangibile a superare questo momento critico.Grazie a tutti e a ciascuno in particolare.In tanti anni di ministero sacerdotale, quante sofferenze, quanti dolori hanno colpito tanta parte del gregge; era quindi giusto, secondo i piani di Dio, che anch’io dessi il mio contributo di sofferenza per la crescita del Regno di Dio.Il cristiano, e tanto più il sacerdote, non è un privilegiato da Dio dal punto di vista umano.L’avere accettato Dio nella propria vita non vuole dire che Dio mi liberi da ogni male, da ogni dolore, da ogni difficoltà, ma semplicemente che le nostre sofferenze, comuni a tutti gli uomini, acquistano un altro significato, se accettate con spirito cristiano, cioè con amore, rassegnazione, serenità.Colgo l’occasione che mi è data per ringraziare di nuovo quanti mi sono stati vicini con la preghiera, con le opere e col pensiero. Grazie! Don Paolo
I due “santi Diaconi”
Ci sembra più che mai doveroso ricordare anche i primi diaconi permanenti della nostra parrocchia: Pierino Panciroli e Gustavo Bicocchi, “gemme di tutta la parrocchia” come li definì Mons. Baroni, vescovo di Reggio Emilia.La Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, per venire incontro alla necessità sempre più urgente dell’annuncio della fede nelle nostre terre, ha ritenuto opportuno e necessario ripristinare il servizio diaconale sorto nella prima cristianità apostolica.I diaconi sono nostri fratelli di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza (cfr At 6,3) che, attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo, consacrano tutta la loro vita al servizio del Vangelo e della comunità, sono ministri del sacramento del Battesimo oltre che coloro che possono predicare il Vangelo e proclamarlo nell’assemblea liturgica, celebrare il rito delle esequie e assistere al sacramento del Matrimonio, distribuire l’Eucaristia e animare il servizio liturgico e della carità.Tra i primi candidati al diaconato permanente della nostra diocesi, il 9 marzo 1974, furono ammessi pure due nostri parrocchiani.
Pierino
Pierino Panciroli: padre di famiglia, uomo semplice nei modi ma ricco di fede vera.Cameriere nel ristorante “Cinque Pini”.Non era certo tra quelli che in parrocchia “mettono la tenda” e svolgono il loro ministero solo “dandosi da fare” intorno all’altare.Fu “servo” nel suo ristorante, tra i vicini di casa, gli amici, i più lontani per fede e ideologia dal Cristo e dal Suo Vangelo proprio perché lui, forse, veniva da quel mondo.Da giovane non aveva certo “rotto” i gradini della chiesa ma, quando scoprì la fede, si entusiasmò e aderì a Dio con tutto il suo cuore fino alla consacrazione, fino al desiderio di andare “presto” alla casa del suo Signore come diceva pochi giorni prima di morire.Desiderio che la sera del 5 febbraio 1979 fu realizzato quando, dopo una giornata vissuta in parrocchia, nel servizio ai malati ai quali portava la comunione, nel lavoro al ristorante, dopo aver recitato con la sua sposa la compieta, fu chiamato, quale servo buono e fedele, a ricevere il premio che il Signore aveva preparato per lui nel cielo.Fu un uomo con grande bontà d’animo, una gioiosa e sorridente serenità. Sempre pronto a servire, gioviale nonostante le sue frequenti sofferenze dovute ad una salute cagionevole.Catechista che trasmetteva la fede con l’esempio più che con le parole.Era stato consacrato diacono nella cattedrale di Reggio il 23 marzo 1978, un Giovedì Santo, ed aveva esercitato il ministero per appena un anno, ma fu tanto quello che aveva dato alla comunità.
Il “Maestro”
Gustavo Bicocchi: anche lui padre di famiglia, chiamato da tutti il “Maestro” per la sua professione che svolgeva con generosità ed esemplarità nella scuola elementare di Via Guasco. Uomo di fede forte, semplicissimo e schivo, pieno di amore per Dio e per la Chiesa, catechista “moderno” appassionato per i mezzi di comunicazione sociale che vedeva come via nuova per la diffusione del Vangelo. Fu animatore della pastorale degli anziani e degli ammalati e di ogni altra attività richiesta come servizio della nostra comunità. Sarebbe dovuto diventare diacono insieme a Pierinoma dovette rimandare di alcuni mesi l’ordinazione perché ammalato gravemente.Voleva addirittura ritirarsi, ma furono il Vescovo Baroni e don Paolo Merli ad insistere perché, anche se malato, diventasse diacono: avrebbe servito la chiesa con la sua sofferenza.Fu consacrato nella Chiesa di S. Giacomo nel maggio del 1978.Il suo calvario di sofferenza è durato più di due anni e fino in fondo fu un uomo di preghiera e di obbedienza serena alla volontà di Dio.Quando qualcuno gli chiedeva: “Maestro come sta?” la risposta era sempre pronta: “Come Dio vuole!” e l’ha ripetuta fino all’ultimo quando faceva fatica a formulare la parola.Il giorno di Pasqua 1979, a quaranta giorni di distanza da Pierino, anche l’anima eletta di Gustavo, il Maestro Bicocchi, entrava nella celeste Gerusalemme, dopo aver consumato “diaconalmente” la sua passione qui sulla terra. Alla loro intercessione don Paolo Merli affidò una richiesta: quella che dalla nostra parrocchia nascessero vocazioni sacerdotali e religiose e il desiderio, ben presto, fu esaudito.